Personaggi illustri: Vincenzo Tiberio

Vincenzo Tiberio nato a Sepino nel 1869 in una famiglia benestante (suo padre era uno stimato notaio), in un palazzetto signorile oggi riconoscibile per la lapide che vi fu murata vent’anni fa per ricordare le benemerenze del dottore.

Il quale rivelò ben presto le sue curiosità: fin da bambino “divorava” ogni pubblicazione scientifica che gli capitasse fra le mani. Finito il liceo, per poter frequentare la facoltà di Medicina a Napoli andò ad abitare presso gli zii ad Arzano, un popoloso comune a pochi chilometri dal capoluogo campano.

La casa era grande e confortevole, costruita intorno a un ampio cortile al centro del quale un pozzo a carrucola forniva l’acqua per le necessità domestiche.

E fu proprio quel pozzo a suggerire a Tiberio l’intuizione decisiva. Gli accadde infatti di constatare una coincidenza sconcertante: gli inquilini della casa erano colti da infezioni intestinali ogni volta che il pozzo veniva ripulito delle muffe che ne ricoprivano le pareti. Bastava che esse ricrescessero, e di colpo coliti, enteriti e analoghi disturbi sparivano.

Da lì a supporre che tra i due fenomeni ci fosse un nesso non ci volle molto: per gli utenti del pozzo le muffe erano garanzia di salute. Il giovane medico, fresco di laurea e sprovvisto di conoscenze autorevoli, poté verificare la validità della scoperta solo grazie al direttore dell’Istituto d’Igiene dell’ateneo napoletano, che gli mise a disposizione i suoi laboratori; e le conclusioni di quelle esperienze furono riassunte nel quinto fascicolo degli Annali di igiene sperimentale pubblicati dall’università.

Pochi lo lessero, nessuno gli dette importanza. Il fascicolo finì sepolto in archivio.Poco dopo il suo autore lasciò Napoli per arruolarsi nella Marina militare; e degli effetti terapeutici di “certe muffe” non si parlò più né a Napoli né altrove fino al 1929, quando il batteriologo scozzese Alexander Fleming, partendo da esperienze analoghe, aprì la strada alle terapie antibiotiche. Non si sa perché Vincenzo Tiberio abbandonasse le sue ricerche.

Forse la decisione dipese dalla condizione scoraggiante in cui versavano le attrezzature e le conoscenze scientifiche italiane alla fine dell’Ottocento, come ha sostenuto qualche anno fa una sua nipote biologa, Anna Zuppa Covelli, che ha scritto: “Le carenze della biochimica e della biologia molecolare erano tali alla fine del secolo scorso da non permettere che le intelligenti indagini del Tiberio potessero approdare ai risultati concreti che cinquant’anni dopo permisero l’avvento in terapia della miracolosa penicillina per merito di Chain e Florey”. Martedì 31 luglio 2001 – Giornale di Brescia